Oggi la festa mondiale del Jazz. Omaggio a Nicola Arigliano

L’Unesco ha dichiarato il 30 aprile giornata mondiale del jazz. Forse con un po’ di ritardo. E, comunque, meglio tardi che mai. Già perchè il jazz non è solo una musica, ma un importante fenomeno culturale che ha incrociato battaglie politiche e sociali segnando fortemente il ventesimo secolo. Io, tanto per registrare il ritorno alla mia passione, mi permetto di offrire alla vostra lettura un mio articolo inedito, scritto un paio di anni fa, dedicato a un grande crooner della musica italiana, Nicola Arigliano. Buona lettura.

Era uno di quei tempi in cui un giovane ragazzo aspirante giornalista in cerca di scoop, appassionato e un po’ studioso di jazz, non ci pensava due volte a mettersi in macchina ed a fare centinaia di chilometri per andare a casa di una star della musica italiana, a proprie spese. L’obiettivo era quella di scrivere un libro biografico su Nicola Arigliano, un personaggio che per tanti anni, dopo i grandi successi della tivvù, era rimasto in silenzio e che l’Onyx Jazz Club di Matera, con grande intuito, aveva saputo riproporre al grande pubblico nazionale riuscendo a fargli vincere anche il premio Tenco. Magari, se non proprio un libro, un piccolo saggio su un artista che era stato sottovalutato, ricordato più per la pubblicità televisiva del digestivo Antonetto che per la sua musica. Così quel giovane giornalista partì da Matera verso un posto a lui sconosciuto che si chiamava Magliano Sabina, ai confini fra Lazio e Umbria. Mai avrebbe immaginato che quella intervista concordata telefonicamente sarebbe stata così ricca di sorprese. A partire da quella casa dove Arigliano abitava da trent’anni. “Zio Nicola”, come i suoi concittadini di Squinzano amavano chiamarlo, alloggiava in una villetta circondata da un giardino trascurato. E non sul piano terra, ma nel piano interrato a cui si accedeva da una scala esterna. Un ambiente umile e accogliente, con il soggiorno e il piano a coda a destra dell’ingresso, una libreria con un po’ di libri e tanti dischi, del disordine organizzato e, a sinistra, una piccola cucina. Fu in questo ambiente un po’ grigio che accolse l’ingenuo cronista con una frase spiazzante: “Ma a chi vuoi che interessi un libro su Nicola Arigliano. Sono altre le cose che devi raccontare, sono quelle che riguardano la vita, la salute”. Fu così che quel libro non nacque mai. Rimase, però, un’intervista di tre ore, inedita e sintetizzata nelle note di copertina del secondo cd di Arigliano prodotto dall’Onyx Jazz Club, “Nu Ritratto”.

“Ecco – continuò Arigliano – guarda qui. Pomodori: tolgo l’acqua di germinazione. Poi mangio polpa e buccia. Vuoi bere un te? E’ importante per la diuresi. Poi mi preparo il riso cucinato in soli due bicchieri d’acqua altrimenti si perdono gli amidi. Questo gusto del pomodoro stimola la secrezione della ptialina e il boccone si impregna e digerisci in bocca. Queste sono le cose che bisogna sapere, non la storia di quello che canta le canzoni”.

Lui che una volta conobbe Frank Sinatra e che abbracciò Nat King Cole perchè volle incidere il suo brano “Permettete signorina”, lui che da Squinzano, vicino Lecce, andò a piedi fino a Foggia per sfuggire alla furia nazista, lui che per ricevere un premio alla trasmissione Rai “Il paradiso dei dilettanti” dovette farsi qualche giorno di prigione per essere scappato dalla caserma (“Al militare c’è la disciplina, una cosa che non sopporto”), lui che da balbuziente, all’età di 11 anni, seppe diventare un grande cantante, parlò anche di altro. Ma tornava sempre sullo stesso argomento: “Il peperoncino, un grammo ogni dieci chili di peso corporeo. Bisogna stare attenti a non farlo cuocere. Credo che arrivi dalla provincia di Potenza. Adesso devo cuocere la patata, poi la mischio con il tonno e la cipolla fermentata così gli acidi fitici vanno via”. E mentre quella specie di intervista tentava di spostarsi sulla musica entrò in casa la donna delle pulizie. E lui in silenzio: “Quando viene a lavorare quella mi mette un po’ paura con quelle puzze di detersivo”.

Arigliano ricordò quei 27 anni di pubblicità Antonetto. “Una sera ero a cena con Armando Testa e Antonetto e dissi scherzando: Non ne posso più. La gente mi ferma per strada e mi chiede di ripetergli lo spot “Facciamo la scommessa”. E Antonetto rispose: E allora cosa dovrei dire io che la gente va in farmacia e chiede il digestivo Arigliano?”.

L’Arigliano degli anni ’90 era esattamente il contrario dell’Arigliano degli anni ’50, quando fumava “tre pacchetti di sigarette al giorno”, beveva molto alcol e viveva nelle ore notturne nei locali della Dolce vita romana. “A cinquant’anni mi dissero: stai andando verso un enfisema polmonare. Da allora mi sono documentato moltissimo. In nessun posto esiste una cucina come la faccio io. Sono anni che mi alzo alle 4.30 del mattino per fare una grande camminata, tre o quattro chilometri in questa vallata”.

Quel pomeriggio di fu spazio anche per un po’ di Basilicata. “Una volta, tantissimi anni fa, dovevo suonare a Rionero in Vulture. Ma quella sera nevicò e rimasi bloccato in un albergo senza riscaldamento per otto giorni. C’era solo una vecchietta che disse che la legna per il camino era bagnata. E così andai in cucina, ruppi alcune casse di legno e accesi il fuoco. Questa signora, appena vide le fiamme mi disse: Signò, quant’è bello parlà. Questa è civiltà. Facendo un giretto lì intorno capitai da un artigiano che faceva queste tazze di ceramica. Gli chiesi di vendermele. Ma lui mi rispose che le aveva preparate per il convento. Anche io sono un prete, me le deve vendere. Quell’artigiano era vecchio, vecchio come un bambino. Vedi? Questa tazza che ha fatto lui è tutta storta, ma è bellissima. Qui c’è la verità”.

E così il giornalista spense il registratore, lo salutò e andò via. Lo ha riacceso solo qualche giorno fa, dopo la sua silenziosa scomparsa, per offrirgli un breve, umile e allegro ricordo, proprio come avrebbe voluto lui.

Ciao, Nonno Nicola. “Go man”.

Serafino Paternoster

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